Pawn Hearts è il quarto album dei Van Der Graaf Generator, quello che consegna il gruppo alla leggenda del prog.
Peter Hammill, leader del gruppo, che si autodefinì il ‘necromante’ si rivela un genio assoluto del canto drammatico.
La chitarra è presente solo in qualche accenno sublime grazie all’ospite di riguardo Fripp, mentre domina il sassofono virtuoso di Jackson che ci proietta in un mondo caotico e terrificante, dove trionfano la tecnica e la fantasia. Il risultato è un suono”Dark Progressive” con echi gotici amplificati dall’organo di Banton e dall’incalzare della batteria di Evans.
Il disco vuole esternare le riflessioni intime di Hammill sui misteri dell’esistenza: l’immensità del cosmo rispetto all’insignificante vita dell’ uomo, il non senso di un’esistenza breve, quella umana, e destinata a finire, il declino dell’umanità intera…
E ancora, il senso di impotenza dell’uomo di fronte al Destino, la crudeltà della vita ed il significato mistico della morte.
La rabbia e la tristezza sono le note dominanti del canto di Hammill nel primo e drammatico pezzo. In sottofondo il sax di Jackson suona come una campana a morte per l’umanità, avvolta dal caos esteriore e vittima di un profondo e incolmabile vuoto interiore.
Il secondo pezzo”Man-Erg” è l’esternazione di Hammill sul tormentato mondo interiore che si dibatte nel suo inconscio: angeli e demoni si agitano dentro di lui a simboleggiare il senso di non appartenenza dell’uomo, la sua difficoltà a trovare la propria identità.
Il brano si apre con un piano che domina e la la voce di Peter canta dolcemente fino a precipitare su toni decisamente drammatici, accompagnato da un’ossessionante e a tratti sgradevole riff di chitarra dell’ospite Fripp: un pezzo che scaturisce dall’inconscio e che lascia l’ascoltatore attonito e turbato.
Il pezzo più importante dell’album è certamente “A plague of lighthouse keepers” dove ci arrivano dritte al cervello la solitudine e l’impotenza di un uomo perso in mare aperto, le sue visioni oniriche, il suo aggrapparsi alla vita nonostante la coscienza dell’imminenza della morte. In summa, tutti i temi esistenziali che agitano la mente di Hammill e che lui traduce abilmente in musica. La lunghissima traccia dura ventiquattro minuti ed è suddivisa in molte parti ognuna musicalmente unica e diversa dalle altre, ma sempre pervasa dal senso di disperazione e dalla drammaticità derivante dalla constatazione desolata della crudeltà della vita.
“Sto ancora aspettando il mio salvatore, le tempeste fanno a pezzi i miei arti… Sono un uomo solitario, la mia solitudine è reale, i miei occhi hanno prodotto una nuda testimonianza e ora le mie notti sono contate…”
Il mare nel quale l’uomo è perso rappresenta l’inconscio, misteriosa e sconosciuta dimensione nella quale prendono forma tutti i nostri incubi e sogni.
Qui un estratto del pezzo, la cui forza evocativa ne fa un mirabile esempio nonché rappresentazione dell’intento del gruppo, ma anche di tutto il ‘movimento’ prog di quegli anni:
“Non voglio odiare
Voglio solo crescere
Perché non posso lasciarmi
Vivere ed essere libero?
Invece muoio lentissimamente da solo
Non conosco altre vie
Ho così tanta paura
Me stesso non mi lascia essere
Solo me stesso
E così sono completamente solo…”
Chiudete gli occhi, ascoltate e fatevi portare via, nei meandri del vostro inconscio.