Le celebrazioni di Fabrizio De Andrè in questi ultimi anni sono state molteplici e oggetto di dibattito tra appassionati e collezionisti.

Il film-fiction prodotto dalla Rai “Principe libero”, recentemente trasmesso in tv, ha fatto molto parlare di sé, soprattutto da chi ha di recente riscoperto uno dei più grandi cantautori che il nostro paese abbia mai avuto.

Inoltre il cosiddetto “ritorno del vinile” e il mondo collezionistico che girano intorno a Faber stanno crescendo di pari passo: ormai si è perso il conto delle innumerevoli ristampe degli album storici e delle antologie pubblicate.

Da segnalare la recentissima raccolta di brani rimasterizzati in alta definizione “Tu che m’ascolti insegnami” pubblicata in 4 CD, 4 LP e in un bellissimo box da 8 LP in edizione limitata.

Ovviamente i vinili originali di Faber restano gli oggetti di maggiore interesse del cantautore: ricercatissimi dai collezionisti ed anche dai giovanissimi i quali vogliono avere tra le mani, ma soprattutto sul piatto, un vero vinile analogico originale facendo un vero e proprio viaggio nel tempo e gustandosi quell’ottima musica che i loro genitori hanno vissuto quarant’anni prima.

 

 

 

 

 

 

 

Una delle immagini che ci ha particolarmente colpito del film “Principe libero”, per noi amanti del vinile, è stata quella nella quale Faber si trova davanti alla vetrina di un negozio di dischi dei caruggi di Genova completamente occupata dall’LP “Tutti morimmo a stento” conosciuto anche come Volume II.

“Tutti morimmo a stento – cantata in si minore per solo, coro e orchestra” è il titolo completo del secondo album in studio registrato da Fabrizio De Andrè (terzo se si considera anche l’antologia di singoli Tutto Fabrizio) che quest’anno compie mezzo secolo e si può considerare come uno degli album più importanti per il percorso artistico del cantautore genovese e che ha inciso maggiormente sulla musica d’autore del nostro Paese.

Difatti si tratta di uno dei primi “concept album” pubblicati in Italia le cui canzoni, perciò, sono collegate tra loro da un unico tema portante che in questo caso si rivela essere la “morte psicologica, mentale” dell’individuo. Vediamole più nel dettaglio.

  • Cantico dei drogati

L’ouverture del disco, un vero e proprio pugno nello stomaco. Inevitabili i rimandi al Cantico delle Creature di San Francesco. La voce baritonale di De Andrè racconta la deposizione straziante di un uomo ormai sul confine tra la vita e la morte scritta dalle penne di Faber ed il poeta Riccardo Mannerini.

  • Primo Intermezzo

La tensione si alleggerisce, i versi narrano un mondo quasi bucolico ma sempre ottemperato dall’avverbio “non”, quasi ad indicare la transitorietà della vita: si lascia la vita terrena per un’altra dimensione nella quale però domina l’astrattezza.

  • La leggenda di Natale

Qui le rime baciate si incrociano con la semplicità dei giri d’accordi per narrare la storia di una bambina: tutto quadra eccetto che la fiaba si rivela in realtà una fiaba noir. L’atmosfera magica difatti raggela l’ascoltatore come il freddo invernale di Natale quando i versi lasciano intendere un presagio di pedofilia.

  • Secondo intermezzo

Un altro momento enigmatico, come il Primo intermezzo l’atmosfera rimanda sempre ad altri mondi, un sentimento quasi di rammarico scaturisce sempre più incisivamente nella mente di chi ascolta.

  • Ballata degli impiccati

Un giusto rimando al primo poeta maledetto Villon autore della Ballade des Pendulus. Versi scarni, ruvidi e a tratti sarcastici descrivono gli ultimi pensieri dei condannati a morte: destinati ad oscillare appesi ad una fune proprio come il pendolo del filosofo Pascal, così la loro mente oscilla tra il rancore per la vita e la pena. Nessuno spazio alla retorica e al sentimentalismo, le trombe barriscono solennemente quasi come se dovessero scandire i momenti dell’esecuzione.

  • Inverno

L’atmosfera settecentesca della poesia stagionali la fa da padrone e fa immergere l’ascoltatore in una scenografia quasi ovattata. Il parallelismo con l’amore è lampante: la natura si annulla nel bianco della neve che tutto copre, ma quest’ultima, forte e resistente all’inizio, è destinata a sciogliersi. Così gli amori, all’inizio forti, si sciolgono per sostituirsi a nuove relazioni, proprio come il susseguirsi delle stagioni.

  • Girotondo

Forse il pezzo più noto di tutto l’album. Faber gioca di nuovo con metafore e contrasti: i bambini sono portavoce, con la loro danza, di paura, disperazione ed orrore. L’ascoltatore viene catapultato su una giostra ebbra di guerra dove ci si tiene inevitabilmente per mano e dalla quale difficilmente si scende e nel caso in cui ci si riuscisse, si rimarrebbe intontiti ed incapaci di reggersi in piedi.

  • Terzo intermezzo

Ancora versi che nella loro rarefattezza d’immagini aumentano il peso delle parole che entrano dentro di noi. Qui gli scenari cedono il passo all’angoscia del dubbio umano che riguarda il Non sapere: non si sa cosa sia, non se ne conosce il perché e non si sa spiegarlo.

  • Recitativo

Ormai l’atmosfera è straziante, si prepara per la suite finale. De Andrè dà forma ad un’accusa contro l’egoismo e l’insensibilità umane usando il tramite della più nobile arte poetica.

  • Corale – la leggenda del re infelice

Un ricco contrappunto al precedente brano chiude un viaggio maestoso, con l’ultimo accompagnamento del Coro dei cantori delle basiliche romane di Pietro Carapellucci.

Il viaggio narrato da Faber si conclude così, lasciando all’ascoltatore il monito della miseria e degli orrori della Terra con un’eco simile che rimanda ai primi vagiti del Progressive. La scenografia emergente finale è quella di una società impietosa, indecente e a tratti imbarazzante quando arriva in noi la consapevolezza che ne facciamo parte.

Un’opera, un capolavoro di metafore scritte 50 anni fa ma che, purtroppo, ad oggi sono ancora attuali. Faber ci aveva visto lungo: l’album è cosparso da un’inevitabile ciclicità umana destinata a ripresentarsi in ogni epoca, in ogni luogo e in ogni mente.