Dopo sei anni dal clamoroso e tormentato divorzio da  Fish, nel 1994, in una fase di declino di popolarità sia tra il pubblico che riguardo alla critica musicale, i Marillion stupiscono il mondo con il loro capolavoro assoluto: Brave.

Lo studio del disco inizia in un ritiro davvero speciale, un castello nel sud della Francia, dove la band mette insieme le prime registrazioni di batteria e gli effetti del tutto naturali che risuonano all’interno del castello. Il lavoro prosegue dopo il rientro in un capannone adibito a sala d’incisione, ma il gruppo fatica a trovare un’identità musicale e, soprattutto, ha difficoltà con i testi.

E’ a questo punto che il destino allunga la sua benevola mano: Steve Hogarth è al volante, incolonnato nel traffico di un pomeriggio qualsiasi, quando, ascoltando la radio, sente un comunicato della polizia, presumibilmente della zona di Bristol, in cui si cerca qualcuno che possa conoscere una ragazza che, non si sa se per tentare un suicidio, sta pericolosamente dondolandosi sulla balaustra del della Motorway del Severn Bridge (ponte che collega l’Inghilterra al Galles). La ragazza, fermata ed interrogata, rifiuta di rispondere ed anche solo di fornire le proprie generalità.  La polizia non sa se sia muta, folle, con aspirazioni suicide….

Questa storia bizzarra colpisce direttamente al cuore lo scrittore che si nasconde nell’inconscio di Steve, che ne trae spunto e fa partire da qui un fantastico racconto. Da questo momento Hogarth moltiplica il proprio impegno, le canzoni prendono rapidamente forma, i pezzi diventano perfettamente concatenabili tra loro e la storia raccontata assume un fascino misterioso e sublime. Che questo sarà un lavoro di spessore, appare subito evidente. La casa discografica, la EMI, viene informata del tipo di lavoro che si sta concludendo, ed al gruppo ed al produttore viene lasciata piena libertà d’azione.

Dopo un maniacale e lungo lavoro, si affaccia sugli scaffali dei negozi “Brave”. Ascoltando “Bridge” e “Living With The Big Lie” si coglie immediatamente la grandezza di questo album, un capolavoro sotto ogni punto di vista. I Marillion qui tornano al prog, ma non quello degli esordi, qui assistaiamo a qualcosa di più, a qualcosa di mai fatto prima: un’alternanza di melodie romantiche e tetre, maestosi sviluppi di linee vocali a tratti estreme ed a tratti molto basse e cupe, magistralmente interpretate da un superlativo Steve Hogarth, sbalorditivi assiemi corali , riff puramente rock  sapientemente mescolati con atmosfere a tratti etniche fino a giungere al brano di punta, la fantastica “The Great Escape” che inizia con un duo pianoforte voce dai toni mistici per concludersi in un ensemble talmente perfetto da far accapponare la pelle. L’album ha richiesto un lavoro di ricerca e studio certosino per gli arrangiamenti per i live, basti pensare che in alcuni brani ci sono ben nove tracce di chitarra) e dunque tutti i componenti del gruppo hanno condiviso più compiti e sono stati capaci di trasformarli in un unisono impeccabile.

Per Brave, i Marillion decidono di non girare alcun videoclip e optano per un cortometraggio che consenta di porre l’attenzione tanto sui brani musicali, quanto sulla storia prendono. Il film racconta, con le doverose correzioni partorite dalla fantasia, la storia della ragazza raccolta sul Severn Bridge. I Marillion vi compaiono in diverse occasioni, impegnati nell’esecuzione dei brani. Il risultato è un lavoro ineccepibile e forse inarrivabile, unanimemente definito da ascoltatori e critica, l’album simbolo del prog negli anni ’90.