L’uscita di Selling England By The Pound, nel 1973, rappresentò il completamento di uno dei periodi più luminosi del progressive rock. Dopo In the Court Of The Crimson King dei King Crimson e Close to the Edge degli Yes, questo album suggellò la punta di massimo splendore raggiunta in quegli anni dal genere più elaborato e suggestivo del rock. Con l’uscita di questo album si completò uno dei periodi più luminosi del progressive rock.

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Già con i lavori precedenti, i Genesis, avevano dimostrato di aver raggiunto la maturità musicale e stilistica, con suoni barocchi e romantici, ma è con questo album che raggiungono la definitiva consacrazione, indubbiamente il loro lavoro più rappresentativo, il disco da consegnare al futuro con l’assoluta consapevolezza di aver posto una pietra angolare nella costruzione della storia del rock progressive.

Quello che caratterizza il disco è un’imponente impalcatura sonora, in cui ogni strumento innesca la ‘reazione’ di un altro strumento, in un ensemble complesso ed articolato fatto di incastri perfetti. Ogni singolo strumento vive di vita propria, le tastiere, filo conduttore dei brani, sono protagoniste di primo piano con le chitarre in sottofondo che forniscono il giusto sostegno all’architettura sonora del pezzo.
E’ una musica piena di colore, quella dei Genesis degli “anni d’oro”, mai uguale a se stessa, un’esplosione di idee brillanti, che sprizzano fuori in maniera tangibile e fantasiosa. Una musica che immerge l’ascoltatore in un mondo parallelo, le atmosfere barocche, mai pacchiane o eccessive, funzionano come una macchina del tempo che proietta l’ascoltatore verso epoche remote. Draghi e fate, castelli e giardini verdissimi, sono le ‘visioni’ oniriche dentro le quali il disco fa calare l’ascoltatore, le stesse visioni che caratterizzano la copertina.
I testi risultano sempre circondati da un alone di mistero e intrigano, la tecnica sopraffina della band fa spiccare il sapiente canto di Peter Gabriel, capace di balzare con particolare grazie da un brano all’altro come un folletto, le tastiere di Tony Banks che non scadono mai nella spettacolarità, la capacità di Steve Hackett di disegnare ricami sonori in completa libertà, senza dimenticare lo stile ritmico di Collins, che riesce sempre a calarsi nel fulcro emotivo del brano.