Eccoci ad uno dei capitoli più importanti riguardo al tentare di riassumere un decennio con 3 dischi: gli anni 80. Non basterebbero 100 dischi per poter dare rilievo e, difatti, anticipiamo già che le posizioni occupate saranno 4 (un minimo stralcio alla regola di una singola posizione) e che l’ordine sarà quasi del tutto casuale. Raf si chiedeva cosa sarebbe restato di questi anni 80, noi affermiamo in tutta tranquillità: tutto. E’ emerso il fenomeno della New Wave, l’Hip Hop, gruppi metal che proliferavano e soprattutto il Pop intriso di synth e tastiere.
Ma chi sono i paladini degli eighties?
4) AC/DC – Back in Black
Il settimo giorno Dio si riposò, gli AD/DC dopo 6 album hanno pubblicato Back in Black, ma non per riposarsi. Una pietra miliare, un macigno più che altro: è stato il loro maggior successo con più di 50 milioni di copie vendute per tutto il globo ed è uno tra gli album più venduti nel mondo. Già questo sancisce la loro presenza nella nostra, modesta e non pretenziosa, classifica. Back in Black di cosa può parlare se non della morte e dell’edonismo?
Per loro quest’album è una svolta verso una nuova era: Bon Scott è ormai un alone presente in parte in forma di fantasma che veglia sui suoi ex compagni e augura un buon percorso a Brian Johnson; che di certo ha saputo il fatto suo.
10 tracce di adrenalina per gli amanti del rock puro, nudo e crudo, la tensione non cala mai a tal punto che rimanere fermi è difficile; ecco le tracce più nel dettaglio.
Si inizia con Hells Bells, sicuramente un memoriale in onore di Bon, le campane a morto cedono via via il passo a riff di chitarre sempre più crescenti e qui si palesa l’immensa voce del nuovo timbro vocale al quale dovremo abituarci, ancora adesso ci si domanda come questo sia ancora intatto e potente. Corde vocali invidiabili.
Con Shoot to Thrill si rientra nel classico mood AC/DC: ritmo senza freni e riff tanto veloci quanto melodicamente festosi, potenti, tecnici e rabbiosi; anche con What Do You Do for Money Honey si potrebbe copiare e incollare il discorso precedente, se non fosse che qui la linea vocale ricorda quasi un coro da stadio. Il finale è da tenere sott’occhio grazie all’acuto e ad un assolo dalle atmosfere blues.
Continua la messa in luce, quasi a volerci rassicurare, delle capacità di Brian con il pezzo Givin’ the Dog a Bone, liriche eseguite magistralmente ma il coro scandito dai compagni non conferisce solo dinamicità al brano, è come un accoglienza ufficiale che sancisce l’amalgama della nuova formazione.
Qui i toni si rallentano un po’, è il momento di Let Me Put My Love Into You. Il ritmo è cadenzato ma di certo non la tensione e difatti nella parte centrale ci possiamo gustare un assolo epico.
La seconda metà del disco si apre con la title track Back In Black: moto probabilmente il singolo più celebre dell’album che ci propone più di un riferimento al compagno perso. Il riff di apertura lo conosce chiunque, l’assolo è probabilmente uno fra i migliori eseguiti da Angus.
Il disco procede con You Shook Me All Night Long, probabilmente la canzone più commerciale grazie al famosissimo chorus orecchiabile, intuitivo e d’impatto e soprattutto piacevole; bello il finale che tiene l’ascoltatore attento e sospeso.
Con Have a Drink On Me i ruoli vocali quasi si invertono: a fare da padrone non troviamo il chorus ma le strofe intermedie: qui l’hard rock trova picchi canori e anche qui, è il marchio di fabbrica degli AC/DC, ci viene regalato un finale da brividi.
Come penultima traccia troviamo Shake a Leg con un inizio scandito da una batteria prepotente, un vero e proprio inno al rock e così ci prepariamo per l’ultima traccia: Rock and Roll Ain’t Noise Pollution. Il ritmo cala ma il mordente targato AC/DC rimane bello tosto, un marchio di fabbrica unico e davvero notevole; questo ultimo brano riassume pienamente lo spirito dell’intero disco.
Questo album immortale è grezzo, immediato, adatto alle giovani leve che vogliono accostarsi al filone rock/metal, ma soprattutto è immediato. Gli AC/DC avevano un concetto e lo hanno espresso ridondantemente per tutte le tracce mantenendo la coerenza del loro sound e di loro stessi. Insomma è il secondo disco più venduto al mondo.
3) Prince – Purple Rain
Album principe (piccolo omaggio) di tutte le classifiche mondiali, considerato uno tra i i migliori dischi di tutti i tempi, oltre 20 milioni di copie vendute. Piccolo aneddoto: se in alcuni album troviamo l’adesivo Parental Advisory è grazie Prince e alla sua Darling Nikki. Prince non è (stato) solo una stella del firmamento con una buona dose di narcisismo, è anche un compositore eclettico, raffinato, un musicista eccellente dotato di una capacità di interpretazione straordinaria e Purple Rain è il simbolo di questa luminosità: arte e commercio si fondono e fanno avvenire l’impossibile: un album ricercato ma “facile”. Vediamo le tracce.
Il disco si apre con Let’s Go Crazy e i ritmi sono subito scatenati oltre il limite in atmosfere funk-rock con un accenno di psichedelia che ci invoglia a liberarci da tutto e divertirci. Take Me With U vede un duetto fenomenale: prince ed Apollonia, un po’ più morbida come toni ma con un testo di impatto colossale.
Con la terza traccia The Beautiful Ones si approda in un mood pericolosissimo: arioso, allucinante e futurista. Una ballad soul-pop nella quale Prince fa sfoggio delle sue immense qualità canore per esprimere, tramite un sentimentalismo disperato senza alcuna inibizione, una dichiarazione d’amore totalmente drammatica.
Computer Blue è uno dei pochi pezzi scritto a più di due mani, un quasi strumentale racconto psichedelico di Prince faccia a faccia con un robot, l’argomento potete immaginarlo.
La pietra dello scandalo arriva con Darling Nikki, l’atmosfera cambia e si fa più rabbiosa, il testo è così esplicito da costringere la creazione del Parents Music Resource Center. Grazie Prince.
Ecco il momento che ha lanciato in orbita il disco: When Doves Cry, un singolo ascoltato ed ascoltato, stravenduto. La particolarità assoluta? Scordatevi il basso, non c’è ma nonostante tutto il singolo è uno tra i più orecchiabili di sempre. Con I Would Die 4 U troviamo nuovamente le atmosfere funky ma con l’intento di raggiungere un pubblico molto più vasto di quello che sembra: la tastiere sono onnipresenti e garantiscono passaggi seducenti ed enfatici, le chitarre si fanno più misurate ma mantenendo comunque un’efficacia notevole.
Il disco va via veloce e ci troviamo alla penultima canzone, Baby I’m a Star. Il titolo parla da sè e riassume il concetto non solo del brano stesso ma dell’intera carriera di Prince, ancora una volta capace di creare un suono sperimentale che tuttavia si rivela essere una macchina sforna-soldi.
L’album si chiude con Purple Rain; è stato l’ultimo brano suonato dal vivo dal principe, la croce della sua carriera. Un successo planetario ed un tributo a nientemeno che Jimi Hendrix. Un lungo susseguirsi di scambi tra archi e pianoforte con un finale chitarristico celebre fino all’universo.
Il disco ha cambiato per sempre la carriera di Prince, l’essenza del suo repertorio artistico e la sua vita. Fa impressione pensare che questi 45 minuti tanto folli quanto artisticamente alti siano stati pensati e creati da una mente sola. Ma pensando che si tratta di Prince effettivamente non fa più così tanta impressione.
2) Guns ‘n Roses – Appetite for Destruction
Sappiamo già che questo titolo spaccherà in due le genti ma un disco così non poteva mancare, il motivo? 30 milioni di copie vendute in tutto il mondo ma la questione che fa più specie è che si tratta del miglior successo di tutti i tempi per un album di debutto. Primo album, successo planetario, non molti ci sono riusciti. In più è la rappresentazione del clichè “sesso, droga & rock ‘n roll” (non a caso nell’ultimo brano Rocket Queen tutti abbiamo sentito enfatici versi molto riconoscibili). Ecco le tracce.
Il disco si apre con Welcome To The Jungle, serve dire altro? Rappresenta pienamente la loro ascesa nell’olimpo musicale: scesi da un autobus con la determinazione di chi vuole, ed è destinato, a sfondare. La benzina in questo caso si chiama Jack Daniels. In seconda traccia ascoltiamo It’s So Easy, un pezzo che strizza l’occhio malizioso al blues; ma qui l’attenzione è tutta per Axl: ci sono poche occasioni nelle quali canta in una tonalità insolitamente più bassa rispetto alle sue doti vocali, ma il risultato è certamente una delle sue migliori interpretazioni.
Al terzo pezzo, Nightrain, capiamo già che siamo difronte ad un album che rimarrà nella storia; il brano è perfettamente coerente col titolo: un rock non intellettuale certamente, ma comunque con una forma che solo a primo ascolto (disattento) potrebbe risultare semplice/banale.
Quarto pezzo: Out Ta Get Me, titolo scritto in ogni maniera possibile. Atmosfere rabbiose ed affilate come rasoi, un brano per lo più riempitivo ma lo stesso irrefrenabile.
Chiude la prima metà dell’album Mr. Brownstone, una quasi-sperimentazione a metà tra ritmi tribali e il cantilenato, i temi sono sempre quelli: se prima eravamo nell’alcool, ora siamo nella droga; indovinate già il prossimo tema? Sì lo sapete perchè apre la seconda metà del disco Paradise City: un vero e proprio cocktail musicale, un inno rock per eccellenza, il ritornello? Epico.
Un attimo, un istante, di pausa e parte My Michelle, si pensa sia un lentone: nulla di più sbagliato, anzi troviamo Axl più teppista che mai con le sue metriche che rendono il brano quasi come un surf impazzito o un giro sulle montagne russe della durata di nemmeno 4 minuti.
Think About You è un altro pezzo veloce, di effetto ma rimane comunque un riempitivo, un antipasto che apre lo stomaco ad un’altra celebre mazzata: Sweet Child O’ Mine. La ballad per eccellenza, Axl che quasi sembra un gatto, riff che conosco persino i neonati ma soprattutto lui, Slash, che sfodera uno dei suoi migliori assoli.
You’re Crazy è una vera e propria sfuriata che ha le connotazioni di un fulmine con sonorità quasi metal. Da specificare che questo brano è stato poi realizzato in versione semi-acustica.
Penultimo brano: Anything Goes, un pezzo che ha diviso le masse, si poteva togliere oppure è stato sottovalutato, forse perchè è puro hard rock, più probabilmente a causa della sua posizione nell’album: essere prima del pezzo finale, e che finale, è sempre uno svantaggio. E difatti passiamo al brano conclusivo dell’album: Rocket Queen, celebre quello che possiamo definire “assolo vocale” di Axl e una fanciulla impegnati a giocare a Briscola.
L’album non si può definire certamente normale, è un disco immortale; forse si rivela essere veramente la rappresentazione e la trasposizione in note del clichè Sex, Drugs and Rock ‘n Roll.
1) Michael Jackson – Thriller
Ma secondo voi quale album poteva esserci? Thriller è l’album più venduto nell’intera storia della musica, 7 singoli che si sono piazzati nelle top 10 mondiali, considerato Tesoro Nazionale dalla Biblioteca del Congresso americano. Più che un album è un’icona, un pezzo di storia. Tempo fa inviarono un messaggio agli alieni con un’equazione e altro per dire loro a che punto eravamo arrivati, forse avrebbero dovuto spedire questo disco. I pezzi vantano le firme di colossi della musica, la copertina è ormai nota ovunque col quello splendido… Cucciolo di tigre, perchè Michael è sempre stato un luminare dell’eccentricità, l’ha inventata lui.
Del disco si potrebbe scrivere anche solo il titolo, ma per noi non esistono favoritismi, ecco le tracce, magari per chi ancora non lo avesse sentito e volesse fare ammenda.
L’album inizia con Wanna Be Startin’ Somethin’ e già ci preannuncia un ottimo inizio, atmosfere dance e soul estremamente ballabili, cifra stilistica del signor Jackson, che prepara il terreno per Baby Be Mine, durante il quale si rinfrescano i ritmi del precedente album. Il pezzo diventa una vera e propria hit radiofonica, ma i suoni sono estremamente ricercati, la voce è calda e sensuale oltre livelli immaginabili, si potrebbe definire un pezzo davvero elegante.
Sonorità rilassanti per la successiva Girl Is Mine, pezzo che coinvolge il britannico Paul McCartney (e la sua influenza si sente) ancora in stato di grazia, se da una parte la melodia risulta semplicistica, il duetto è un vero colpo di classe.
Il quarto pezzo è la title-track Thriller, da qui in poi si capisce che l’album entrerà nel Firmamento ed ammettetelo che quando avete letto il titolo avete fatto il movimento con le mani del balletto. Inutile descrivere questo brano, inutile descrivere soprattutto il video, tutto è iconico qui: suoni, vestiti, movimenti, tutto.
Dopo Thriller troviamo altri due pezzi che con il sopracitato hanno formato un terzetto mondialmente storico, ossia Beat It e Billie Jean. La prima, più rock, ci regala la presenza di Eddie Van Halen, Billie Jean va ancora oltre: ha creato l’icona di Michael Jackson con cappello, movenze feline e soprattutto il Moonwalk (in quanti hanno provato a farlo?); una sintesi di un astro capace di unire una vocalità eccellente con un contorno scenico che farebbe invidia a chiunque (soprattutto a chi oggi cerca di riproporre con budget molto più elevati) tenuto da una persona, MJ, che in quanto a presenza fisica ha fatto discutere sempre molto.
Ecco il momento della filosofica Human Nature. Le sonorità sono state curate dai Toto. Human Nature è una ballad quasi New Age con lievissime note R&B che conferiscono un’atmosfera evocativa, amplificata dalla melodica vocalità di Jackson; il brano è stato poi soggetto ad un numero di cover allucinante (il numero, non le cover, non ci permetteremmo mai, o quasi).
Penultimo brano del disco: P.Y.T., per i neofiti Pretty Young Thing. Eh vabbè, qui troviamo la firma di Quincy Jones il quale costruisce un funky con un arrangiamento all’avanguardia: percussioni, sibili, un intro parlato, poi sussurrato; un pezzo così non si può catalogare.
Veniamo all’ultimo brano Lady in My Life. Una fine che non aggredisce l’ascoltatore, anzi, le lacrime quasi scorrono a fiotti per la densità emotiva di questo brano, Michael è persuasivo nella sua dolcezza, una vera e propria dichiarazione d’amore, una splendida fine per un album permeato da fibra e carisma.
All’inizio dell’articolo abbiamo specificato che l’ordine questa volta non è una vera e propria classica, specifichiamo ora che nel caso di Thriller questo ragionamento non vale, è effettivamente al primo posto. Un album che ha influenzato il mondo, lui lo ha influenzato e il fatto che sia stato proprio lui ci fa tremare i polsi. Sappiamo tutti chi era Michael, anzi per lo più come lo descrivevano i media e i riflessi che davano alla popolazione di lui, se ne è parlato moltissimo, dopo la sua scomparsa ancora di più ma noi non entriamo nel merito.
Di certo era un personaggio che difficilmente poteva scampare all’opinione pubblica, ma oltre alle speculazioni “gossippare” che ha scatenato, ha scatenato inoltre un fenomeno musicale senza precedenti dal momento in cui abbracciava la sfera artistica e dello spettacolo a 360°.
Questi per noi sono gli anni 80, per voi? Alla prossima.
assolutamente d’accordo su Prince, genio assoluto. Su Michael Jackson molte riserve…anche se è stato un fenomeno di massa. Ma AC DC e Gun’s and roses no…assolutamente irrilevanti. C’era veramente di meglio da scegliere tra Simple Minds, Ultravox ( quelli di John Foxx non quelli di Midge Ure ), Cure, Talking Heads..ecc sicuramente piu’ rappresentativi degli anni 80. L’heavy metal degli altri due è sempre stato uguale a se stesso e lontanissimo dal mood musicale degli anni 80.